Npe, l’intervista all’ad di Gardant Investor sgr Guido Lombardo
La fine del Pnrr, la crisi ucraina e l’aumento dell’inflazione. Non sono pochi i fattori che lasciano intuire che nel prossimo semestre o, al più tardi, l’anno prossimo, l’m&a cederà il passo al restructuring. In parallelo stanno crescendo anche gli npe, i crediti deteriorati o non performanti. Per avere una panoramica sulla situazione, Financecommunity ha intervistato Guido Lombardo, ad Gardant Investor Sgr.
Qual è la situazione relativa al settore dei crediti deteriorati in Italia? Quali sono le prospettive nel prossimo futuro anche in considerazione della situazione post-pandemica, dell’incremento dei costi energetici e delle materie prime?
Lo scenario macroeconomico e geopolitico attuale si contraddistingue per un numero rilevante di tensioni contrastanti che, come più volte rimarcato da fonti diverse, potrebbero produrre un aumento del volume di crediti verso aziende in difficoltà; Utp ovvero non performing da parte degli istituti bancari. Se questa congiuntura rimarrà sostanzialmente invariata, è probabile che nei prossimi due-tre anni assisteremo a una crescita sul mercato dei soggetti connotati da situazioni di tensione finanziaria che richiederanno interventi da operatori specializzati come Gardant. Questa potenziale tendenza produrrà, da un lato, un incremento dei volumi di crediti da gestire con lo scopo di salvare le aziende colpite, mentre dall’altro genererà occasioni di finanziamento e/o investimento in aziende che presentano opportunità di rilancio. In ogni caso, anche se i volumi dovessero crescere in maniera significativa, il nostro approccio di analisi e gestione del credito cauto e di nicchia avrà sempre l’obiettivo di mantenere elevati livelli qualitativi nei portafogli gestiti e un profilo equilibrato di rischio-rendimento per i nostri investitori.
Quando gli npe hanno smesso di essere considerati solo un problema? E in che senso possono invece essere reputati un’opportunità?
L’iter che ha portato gli npe a trasformarsi da problema a opportunità è stato un percorso graduale, iniziato a partire dalla crisi del 2008, quando la questione dei crediti non performing ha acquisito uno status globale di problema da risolvere. L’attenzione prestata ai singoli casi ha fatto emergere la consapevolezza che se gestite bene tante posizioni possono diventare opportunità, ma per cogliere tali opportunità è necessario verificare ogni singola posizione. La soluzione del problema passa quindi attraverso una serie di valutazioni e rilanci di diversi operatori che analizzano l’opportunità. I primi a investire, a livello mondiale, e a identificare questi attivi come asset class vera e propria sono stati i fondi statunitensi, tanto che ancora oggi questi player rappresentano la maggioranza dei fondi investiti anche in Italia. Come classe d’investimento, i crediti distressed sono divenuti oggetto di interesse di investitori istituzionali e, per quanto ci riguarda, di soggetti specializzati – come Gardant appunto – in grado di mettere a disposizione le professionalità e la flessibilità necessarie per adattarsi alle caratteristiche estremamente variabili di debitori, immobili e situazione macroeconomica domestica e applicare l’analisi creditizia prospettica per identificare, accompagnare e valorizzare le singole posizioni.
Durante l’evento “Gli stati generali degli npe” avete parlato anche del contesto regolatorio in cui la disciplina sugli NPE è inquadrata. Cosa è emerso nel dibattito rispetto a questo tema? Sono necessari degli aggiornamenti? Quali sono le aree di miglioramento?
Come evidenziato in precedenza, nel sistema economico e finanziario italiano è nel tempo mutato l’approccio ai crediti non performing, che si sono trasformati da valore da recuperare ad asset class da valorizzare. Questa trasformazione ha quindi generato nel mercato ulteriori interessi da tutelare e regolare. In particolare, come rilevato dal Professore Vincenzo De Sensi di Luiss School of Law durante l’evento dello scorso maggio, “Gli stati generali degli npe” di Gardant e Luiss, sarebbe opportuno rivedere tre aspetti della normativa che insiste sulla disciplina dei crediti deteriorati: innanzitutto, bisognerebbe ripensare la classificazione regolamentare per quanto riguarda l’applicazione delle misure di tolleranza o concessione, identificando qual è il reale livello di rischio prospettico per la stabilità patrimoniale delle banche; in secondo luogo, occorre ampliare il mercato degli npe per agevolare l’ingresso e l’operatività anche di fondi di ristrutturazione degli imprenditori ceduti; infine, una maggiore attenzione potrebbe essere volta a promuovere fondi domestici di credito in ristrutturazione al fine di calmierare i tassi di interesse sulla concessione di nuova finanza nelle operazioni di ristrutturazione. In generale, dovremmo avviare processi di innovazione normativa e correttivi in grado di aiutare il sistema ad essere più efficiente ed equilibrato.
Nell’ambito dell’evento “Gli stati generali degli npe” avete annunciato il lancio di un osservatorio sulla materia. Qual è l’obiettivo di questa iniziativa e quali vantaggi può portare?
In uno scenario attuale in cui i crediti in sofferenza si trovano per oltre i due terzi “fuori” dal sistema bancario e in cui entro il 2023, su un totale previsto di 430 miliardi di npe, 113 miliardi saranno nei bilanci delle banche e 317 miliardi saranno detenuti da investitori e player specializzati, l’Osservatorio, potrà costituire uno strumento utile per istituti, investitori, soggetti specializzati e regolatori, al fine di analizzare la gestione e regolamentazione di un mercato destinato a influenzare in maniera consistente il sistema economico e finanziario. Si tratta di un’azione necessaria per generare conoscenza e quindi fornire gli strumenti per comprendere le dinamiche che sottendono un mercato rilevante per il Paese basta pensare al vantaggio economico per il paese se si riuscisse a rilanciare velocemente il 50% di tali posizioni.