Npl, mercato in stallo dinamico. Ora focus su recuperi e consolidamento servicer
L’industria delle non performing exposures (npe) sta attraversando una fase di stallo dinamico, in cui i players studiano come cavalcare la prossima onda.
Run the industry, il meeting sui crediti non performing organizzato da Banca Ifis al Lido di Venezia, è stata l’occasione per fare il punto sui trend di mercato. E il quadro che è emerso è che la direzione da seguire da qui in avanti non è scolpita nella pietra, tutti sono in cerca della strada giusta. Ma, nell’incertezza generale, un dato spicca: a livello di sistema Paese il recupero dei crediti è prioritario e inderogabile.
Oltre mille partecipanti, al convegno del gruppo guidato da Luciano Colombini (nella foto a sinistra), divenuto l’appuntamento in cui banche e altre società finanziarie, advisors, gestori di crediti e gruppi attivi nel recupero si trovano per fare il punto sul mercato.
Dopo la corsa delle banche a ripulire i bilanci, complice la pressione delle autorità di vigilanza e delle regole sui requisiti patrimoniali, il quadro è mobile. Il focus si è spostato sugli unlikely-to-pay (utp), concetto chiaro in testa a tutti. Ma la previsione che il modello Intesa Sanpaolo, che ha stretto una partnership con Prelios su un maxi-pacchetto di circa 10 miliardi (in parte ceduti e per il resto dati in gestione), sarebbe stato seguito dall’intero mercato, come era accaduto sugli npl con l’accordo del gruppo guidato da Carlo Messina con Intrum, si sta rivelando, almeno allo stato, errata.
UniCredit, per esempio, per bocca di José Brena, head of non core asset management, lo ha detto chiaro: “Gli utp non sono un problema”. L’istituto guidato da Jean Pierre Mustier intende proseguire con la cessione di pacchetti mirati e seguendo la logica di partnership industriali, come nel caso degli utp riuniti sotto il cappello del progetto Dawn, che vede in questi giorni la presentazione delle offerte non vincolanti. D’altro canto, l’obiettivo di ridurre gli npe è ben chiaro a UniCredit: Brena ha ricordato che nel piano è previsto un taglio di quelli non core a circa 10 miliardi entro la fine dell’anno e, ha aggiunto, ci riusciremo, “in un modo o nell’altro”.
Le banche presenti all’appuntamento lagunare ci hanno tenuto, chi più e chi meno, a sottolineare un concetto: i compiti a casa li abbiamo fatti e anche bene. Biagio Giacalone, head of department active credit portfoglio steering di Intesa Sanpaolo, ha messo in chiaro che, per quanto sfidante, il gruppo punta conseguire l’obiettivo di ridurre l’npe ratio al di sotto della soglia del 5%. E Lucia Savarese, head of non performing exposures di Banca Mps, ha rimarcato che gli obiettivi di riduzione dei non performing sono stati ampiamente superati nell’arco del piano.
Il nodo è che, usciti dai bilanci delle banche, i crediti classificati come npl e utp non sono spariti. Il market watch di Ifis lo dice chiaro e tondo: su 330 miliardi totali nel sistema italiano, soltanto 11 miliardi sono stati recuperati. E qui si apre il capitolo, annoso quanto doloroso, dei tempi della giustizia, ovvero delle difficoltà, talvolta insormontabili, per escutere le garanzie sui crediti.
“L’industria (del recupero) funziona molto bene sui piccolissimi crediti, numerosi e di modesto importo” ha spiegato Colombini, “ma anche noi abbiamo piani di recupero a 10-15 anni, lavoriamo sulla cessione del quinto”. Secondo l’AD di Ifis, per dare una spinta risolutiva al recupero “serve un intervento di natura fiscale. C’è tema vero di smaltimento del contenzioso, che è passato da una mano all’altra, ma resta lì, è un peso sull’economia”. L’industria delle costruzioni, per esempio, ha aggiunto Colombini, “è sempre stato uno dei motori dell’economia”, mentre ora è in crisi, grave e forse irreversibile, quanto meno fino a che non sarà smaltito l’invenduto: “Sono stati persi 500mila posti di lavoro.
Si arriva così al tema delle garanzie statali sulle cartolarizzazioni di npl. Tra gli operatori circola da tempo la convinzione che le transazioni che hanno usufruito delle gacs siano destinate a incontrare problemi, già in parte emersi. Stefano Cappiello, al vertice della direzione sistema bancario e finanziario del ministero dell’Economia, ha smentito che le gacs stiano mostrando debolezze strutturali: “Non ci risultano motivi di preoccupazione”. Sulla carta, è ovvio, per lo Stato, ovvero per i contribuenti, le garanzie potrebbero costituire un problema. Ma il Mef, che si appresta a varare un decreto ministeriale sul monitoraggio delle gacs, non vede nubi addensarsi all’orizzonte. Controlli e sistemi di allerta, previsti dalla normativa allorché le garanzie pubbliche sono state rinnovate, sono tali da tranquillizzare i vigili del Mef. Cappiello, inoltre, ha detto che il ministero, allo stato, non ritiene che le gacs debbano essere estese agli utp per via della natura peculiare degli ex incagli.
Di certo, e su questo punto c’è concordia tra tutti i player, l’industria della gestione dei crediti non performing richiede scala e specializzazione. Le dimensioni contano per chi si prefigge di gestire pacchetti miliardari. Il meeting veneziano è stata l’occasione per fare il punto sulle trattative tra Banca Ifis e Credito Fondiario sulla creazione di una partnership. Iacopo De Francisco, direttore generale del Credito Fondiario, e Colombini hanno confermato l’idea di giungere a un accordo entro la scadenza delle trattative in esclusiva, fissata per il 2 ottobre. L’impressione, però, è che la complessità del negoziato (“Ci sono tematiche regolamentari, contabili, legali”, ha sottolineato l’AD di Ifis) sia tale da richiedere una proroga. Non è facile, del resto, mettere assieme due soggetti così diversi, uno focalizzato su crediti medio-grandi secured e l’altro specializzato nei file piccoli unsecured. Complementarietà, certo, ma anche qualche difficoltà comprensibile nel far camminare alla stessa velocità due gambe tanto differenti.
Il tema del consolidamento dell’industria dei servicer ha aleggiato sul convegno veneziano. Al momento, sul mercato c’è Cerved Credit Management. Che, a detta di diversi operatori, non sta scatenando appetiti folli. Indicato da alcune fonti come uno dei potenziali compratori, Intrum, per bocca del presidente Giovanni Gilli, non ha voluto confermare di essere interessata a Cerved. Ma, posto che “il mercato ha in corso logiche di concentrazione”, Intrum al momento non ha sul tavolo operazioni straordinarie. Gilli ha detto che il gruppo di origini nordiche guarda “ad accordi di servicing e advisoring puro, ma anche a joint venture sul modello di quanto fatto con Intesa Sanpaolo, chiaramente su dimensioni più piccole”.
Restando in tema di consolidamento dei servicer, Riccardo Serrini, amministratore delegato di Prelios, ha smentito che ci sia un mandato, affidato dall’azionista di riferimento Davidson Kempner, per vendere la controllata. “Non c’è nessun adviser”, ha scandito Serrini, “siamo totalmente concentrati a continuare a dare ottime performance, siamo concentrati sulla crescita sostenibile”. Certo, ha ammesso Serrini, DK, come ogni operatore di private equity, in prospettiva valorizzerà la partecipazione, “ma non ci sono cose in corso”.
Il tema della valorizzazione dei servicer non è di stretta attualità, ma non tarderà a manifestarsi. Le società di gestione dei crediti sono in gran parte controllate da operatori di private equity, che, è nella natura delle cose, dopo 3-5 anni vogliono passare alla cassa. Credito Fondiario, per esempio, ha messo in cantiere la quotazione a Piazza Affari come strada per la valorizzazione della partecipazione di Elliott. L’ipo, ha ribadito De Francisco, “è allo studio”, con un orizzonte 2020. “La banca è pronta”, ha affermato il manager, “abbiamo una dimensione accettabile”.