Npls, chi li compra li gestisce così

In otto anni di crisi economica, i crediti deteriorati, o non performing loans, in pancia al sistema bancario italiano sono cresciuti così tanto che attorno a essi è nato un mercato che oggi vale miliardi di euro. Oltre 300 miliardi, per la precisione. A tanto ammonta infatti il valore degli npl delle banche italiane. In particolare, stima Mediobanca, il totale lordo dei crediti deteriorati dei dieci principali istituti è pari a 254 miliardi di euro, di questi 84,4 per UniCredit; 63,2 per Intesa Sanpaolo; 45,3 per il Monte dei Paschi di Siena.

Per liberare i propri bilanci, le banche hanno iniziato a vendere celermente pacchetti di milioni di euro di npls per un valore lordo di 12 miliardi nei primi mesi del 2015, stando alle stime di PwC. E nel dettaglio, 4,7 miliardi sono portafogli misti di crediti garantiti e non, 2,9 di crediti al consumo, 1,8 miliardi di portafogli principalmente secured e 1,2 miliardi di crediti unsecured.

A comprarli ci sono sempre più operatori specializzati e disposti ad acquistarli a sconto. Ma qual è il destino di questi crediti una volta comprati da un fondo o da un servicer? Come ci guadagnano? Cercando, innanzitutto, di recuperare il più possibile del capitale dovuto attraverso sistemi di gestione sempre più informatizzati e agendo, quando possibile, per valorizzare il sottostante.

Chi compra
Tra servicer indipendenti o integrati e investitori, sia italiani che stranieri, sono tanti, oggi, i protagonisti più attivi sul mercato dei crediti deteriorati. Fra i principali servicer indipendenti ci sono, ad esempio, Cerved credit management, che di recente ha concluso la cessione di un portafoglio costituito da esposizioni in sofferenza secured e unsecured per un valore lordo di libro di circa 314 milioni di euro, Prelios credit servicing e Credito Fondiario.

Quest’ultimo, ad esempio, oltre ad avere licenza bancaria, in virtù dell’aumento di capitale in corso dispone anche di una dotazione significativa di capitale, pari a 145 milioni, che gli permette di co-investire insieme ai propri clienti investitori. Di recente, il gruppo guidato da Panfilo Tarantelli ha co-investito e preso in gestione 300 milioni di npl di Banca Etruria, 15 milioni di Ebc, e i 314 milioni di Creval, oltre a un portafoglio di 315 milioni ceduto da un pool di banche di credito cooperativo. Ai tre citati si aggiungono anche Guber, Fbs, Maran, Europa Factor, mentre nel real estate di recente Héra International Real Estate ha avviato il proprio dipartimento Credit Services & NPL.

Fra i servicer integrati, cioè posseduti da grandi investitori, ci sono, per citarne alcuni, Italfondiario, in capo al gruppo Fortress, DoBank, la vecchia Uccmb acquisita da Fortress/Prelios, Caf, acquisita da Lone Star, Trc acquisito da Hoist e Si Collection, del gruppo Sigla, in capo a Palamon Capital Partners. Sono interessati al mercato italiano anche Cerberus, Christofferson Robb, Attestor, Nomura, Morgan Stanley. A queste va aggiunta Alvarez & Marsal molto attiva nei grandi progetti internazionali di ristrutturazione, e Banca Ifis, banca fra le più attive nell’ultimo annonell’acquisto di npls di altri istituti e con un portafoglio di oltre 9,4 miliardi di euro.

Un lavoro lungo
Per tutti questi operatori comprare crediti deteriorati dovrebbe essere più semplice ora rispetto a qualche anno fa, considerando anche le iniziative, pubbliche e private, che piano piano stanno cercando di rendere questo mercato più agevole. Il difficile viene dopo, nella gestione e nel recupero di questi crediti. «Si tratta di un lavoro lungo diversi anni e molto complesso perché svolto quasi pratica per pratica per tutte le diverse migliaia di posizioni», spiegano Vieri Bencini (nella foto), amministratore delegato, e Carlo Losco, direttore generale di SiCollection.

Il gruppo, come servicer integrato con i fondi, svolge attività di valutazione dei portafogli contenenti principalmente piccoli ticket retail e li analizza per pianificare l’attività di recupero più adeguata. «Investire in questi asset class – aggiunge Bencini – è speculativo perché anche molto rischioso. È una scommessa: per fare un rendimento di almeno il 15 o 20% il fondo deve infatti essere capace di recuperare, in sette o otto anni, almeno il triplo del valore al quale ha comprato quel credito».

Ad esempio, «se il credito è stato acquisito al 6%, il recupero deve valere almeno 18%, in modo da recuperare quel 15 o 20 per cento di IRR (il tasso interno di rendimento ndr) escludendo i costi di gestione (circa un terzo del totale) e di acquisto». E il rischio si trasmette anche al servicer, che viene spesso pagato a success fee. Per questo, ricordano, «sono necessarie misure di recupero che siano efficienti e innovative e a un prezzo competitivo».

Dal telefono al one-to-one
Ma come funziona il procedimento di recupero? «Il primo passo – spiegano – consiste nell’aggiornamento informativo delle posizioni in nostro possesso, integrandole con i documenti e le informazioni necessari».

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