I private equity del futuro? Grandi e con diverse asset class
Il private equity è in evoluzione e tutti, anche i fondi più grandi e quelli internazionali, devono fare i conti con l’evoluzione del mercato e le nuove esigenze degli investitori. Anche una realtà come Alpha Private Equity, fra le realtà paneuropee più longeve nel segmento mid-cap (ha oltre 30 anni di vita) e con 2 miliardi di asset in gestione. A tal proposito, Edoardo Lanzavecchia (nella foto), fra i soci fondatori della firm, in questa intervista a MAG dimostra di avere le idee chiare. «I fondi devono puntare su una struttura che sia in grado di dare continuità e ritorni sostenibili», dice.
L’era del personalismo sta finendo, ora è l’organizzazione che conta. Di certo è un cambiamento non semplice, che, sottolinea Lanzavecchia, «richiede tanti investimenti» e per questo, è convinto, «il consolidamento sarà necessario, soprattutto per i fondi più piccoli o per i grandi che vorranno offrire più prodotti». Da questo punto di vista, afferma Lanzavecchia, Alpha non è interessata a partecipare al risiko, ma all’apertura di nuovi prodotti oltre al private equity, campo in cui la società ha un posizionamento ormai ben stabile e consolidato.
Al momento il gruppo Paneuropeo, guidato in Italia dalla neo country head Valentina Pippolo e che tra le fila ha reclutato da meno di un anno la ex Investindustrial Arabella Caporello, è operativo con Alpha Private Equity Fund 7, la cui raccolta è stata chiusa nel 2017 a 903 milioni. Di questo, i due terzi circa, al 65%, sono stati investiti in poco più di due anni. Solo quest’anno la società, ha investito in Amf, azienda che produce accessori metallici e non metallici per la moda, Calligaris, noto brand del forniture d’alta gamma, e Luceplan in Italia e Vervent Audio Group in Francia. E per i prossimi 12 mesi conta di chiudere altre due o tre operazioni, mentre inizia a disinvestire il sesto fondo.
In generale, «il 2019 è stato un anno di rallentamento per tutti – commenta Lanzavecchia -. Per Alpha è stato, al contrario, un periodo tendenzialmente buono, l’aumento dei prezzi si è fermato, in Italia e in generale in Europa, fenomeno che riflette l’abbassamento dei tassi».
Dottor Lanzavecchia, quale è la vostra strategia di investimento?
Investiamo puntando su aziende che registrano buone performance anche in caso di una recessione. Ad esempio, Laminam cresce del 17% perché è un prodotto innovativo e versatile mentre AMF lavora in un comparto, il lusso, che continua a registrare tassi di crescita significativi. Nel complesso, tutto il settimo fondo è stato investito con questa logica: con i cicli devi averci a che fare, gli investitori ti danno mandato di investire anche tenendo conto di questo aspetto.
Oggi più che mai, considerando che il mercato è in contrazione…
Sicuramente. Per noi investitori di lungo corso i rallentamenti sono un’opportunità, anche perché c’è meno competizione: i deal sono più negoziati, la complessità aumenta e non tutti sono disposti a stare al gioco. Chi ha esperienza e un buon posizionamento sul mercato riesce a gestire anche le situazioni più difficili. Al contrario, chi fa poche operazioni o è nuovo sul mercato incontra più difficoltà.
Come altre industry, anche quella del private equity si sta evolvendo. Come vede l’andamento del mercato?
Al momento nel private equity è in corso un processo di industrializzazione che sta portando e porterà anche in futuro a un consolidamento. Questo avverrà tra piccoli, ma non solo, anche tra le piattaforme più grandi. A guidarlo, a mio avviso, sono due driver principali.
Quali?
Innanzitutto, la necessità di offrire più prodotti, quindi di creare piattaforme con diverse asset class. Questo è ciò che chiedono gli investitori ed è ciò che i fondi di dimensioni più elevate hanno iniziato a fare.
Poi?
Poi c’è la dimensione. Con Alpha abbiamo avviato un percorso di istituzionalizzazione basato sulla tecnologia per migliorare la macchina operativa. Ad esempio abbiamo avviato un processo di digitalizzazione della reportistica per gestire al meglio i dati. A questo abbiamo aggiunto l’istituzione di comitati, fra i quali quello dedicato ai criteri Esg e uno alla compliance, e un team dedicato all’investor relation in modo da fornire una reportistica precisa, trasparente e continua. Tuttavia, impostare una struttura simile non è semplice e implica il coinvolgimento di tante risorse e quindi costi…
Quanti?
Molti, occorre investire in strumenti, come software, ma anche sulle persone e i consulenti. E qui che i fondi più piccoli fanno più fatica. Per questo il consolidamento è una delle soluzioni più plausibili. Consolidamento che come detto sarà sia orizzontale, quindi nei prodotti, che verticale, fra realtà diverse. Il tutto per rispondere anche alle richieste degli investitori, che vogliono investire in realtà solide. Questa solidità la assicuri o con la dimensione o con una diversificazione dei prodotti.
Nel nostro Paese Alpha che ruolo avrà in questo futuro “risiko”?
Noi abbiamo già una dimensione paneuropea, in linea con le esigenze degli investitori.
Al momento non vedo per Alpha opportunità strategiche in Italia.
E per ciò che riguarda i nuovi prodotti?
Stiamo valutando l’apertura a nuove asset class per il futuro.
Quali sono i vostri investitori?
Abbiamo prevalentemente investitori istituzionali, fra i quali molti fondi di fondi, assicurazioni e family office.
Quanti italiani?
Circa il 20%. Ma va detto che non facciamo raccolta in Italia perché non strettamente necessario.
Cosa vi chiedono?
Gli investitori vogliono investire in aziende che diano la ragionevole certezza di ritorni ripetibili e sostenibili nel tempo. Questo è sempre stato un mestiere di “artigiani” fondato sulle capacità del singolo professionista. Oggi la situazione è un po’ cambiata. Negli ultimi cinque o sei anni, abbiamo assistito a…
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