Il private equity italiano? È femmina in un caso su cinque

Non è un lavoro per donne, il private equity. Almeno in Italia. Parlano i numeri. Negli ultimi anni ci sono sempre più ricerche sulla presenza di donne nell’industria dell’investimento privato e tutte scattano una fotografia che ricorda quella relativa alla finanza in generale: il numero di professioniste che lavorano nel settore è più o meno dignitoso ma si riduce in maniera considerevole man mano che si scalano le gerarchie e ci si avvicina alle posizioni più prestigiose. Per quanto il tema ricorra dunque nel mondo dei servizi finanziari in generale, nel private equity questo è ancora più esacerbato. Sarà perché è sempre stato un “old boy’s club”, sarà perché il cambiamento culturale è un processo lungo e complesso, sarà perché alla fine le donne sono meno disposte a sacrificare la loro esistenza in nome di una carriera. Di certo i numeri parlano chiaro e non sono per niente benevoli.

 

Meno di una su cinque
Una ricerca condotta dal Centro ricerche di Financecommunity.it e MAG ha analizzato i team che compaiono sulle pagine web di oltre 50 fondi di private equity italiani o internazionali che operano in Italia (esclusi quindi quelli di debito e i venture capital) fra quelli iscritti all’Aifi, l’associazione di settore. Ne emerge che per trovare una donna al tavolo negoziale bisogna essere proprio fortunati: di tutti i professionisti impegnati nel settore, è donna il 19,5%: 115 professioniste su 588 totali fra quelli presi in considerazione dalla ricerca. Che poi, questa professionista su cinque al tavolo negoziale non è neanche detto che ci sarà, perché solitamente ricopre ruoli diversi da quelli operativi.

Le partner donne nei fondi italiani o internazionali attivi nel Paese (abbiamo considerato anche chi non ha un vero e proprio team qui ma segue l’Italia dall’estero, ad esempio da Londra) sono il 5,9%, cioè 12 su 201 (per sapere quali sono si veda il numero 103 di MAG). Nel complesso, più del 78% delle società analizzate dal nostro osservatorio non ha nemmeno una partner donna.

Sono numeri impietosi anche confrontati con quelli dell’industria dei servizi finanziari in generale. In Italia secondo uno studio First Cisl sui maggiori cinque istituti italiani (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte dei Paschi, Banco Bpm, Ubi), che pesano per due terzi dei 300mila bancari italiani, a inizio 2017 le donne erano 84mila su 181mila, cioè il 47%, anche se solo lo 0,5% diventa dirigente.

 

Nessun cambiamento
Tornando al private equity, il dato italiano è in linea con quello a livello globale. Stando all’ultima ricerca di Preqin del febbraio 2019, il 17,9% dei dipendenti dei fondi di private equity a livello globale sono donne. La cosa preoccupante non è tanto il fatto che questo sia il dato più basso tra tutte le asset class (ad esempio nel venture capital la presenza è del 21,1% e nel private debt del 19%) quanto piuttosto la stagnazione di questa percentuale. Nel 2017 il numero di donne era esattamente lo stesso, 17,9%. In due anni non è cambiato nulla, nonostante qualcuno abbia portato avanti dei progetti e per quanto il tema sia molto più di attualità rispetto al passato. Il che implica che per vedere un cambiamento concreto occorrerà molto più tempo di quanto possiamo sperare.

E ce ne vorrà ancora di più per far smuovere un altro valore, quello delle donne senior. Perché è vero che le donne che lavorano nell’industry sono poche, però qualcuna ce n’è. Il problema è che stanno sempre in seconda o terza fila. Preqin ha individuato che il 5,2% dei posti nei consigli di amministrazione è occupato da donne (erano 4,1% nel 2017). La maggior parte delle donne impiegate a livello globale è junior, cioè il 31%, mentre il 22% occupa una posizione mid-level e il 10% è senior. I valori sono simili se guardiamo alla sola Europa: 37% junior, 22% mid-level e 10% senior.

 

Cfo e investor relator
Cosa fanno nel dettaglio? Se siete dei private equity, staccate gli occhi da queste righe e vi guardate un attimo intorno lo capite da soli: in un fondo una donna è solitamente un investor relator o è impiegata nel dipartimento di comunicazione e marketing (53%). Oppure si occupa del finance o dell’accounting (39%). Solo il 13% fa parte del team di investimento e il 21% della gestione del portafoglio.

Di quel 10% di professioniste ai vertici, solo l’8%, a livello globale, è partner mentre una su quattro, il 25%, occupa il ruolo di cfo, il 18% quello di chief operating officer e l’11% quello di general manager o managing director. Il 5%, infine, è managing partner.

È evidente che tra il momento dell’arrivo pieno di entusiasmo nell’ufficio di un private equity e la stabilizzazione della propria carriera succede qualcosa che non va a favore delle donne. Le spiegazioni sono quelle più note…

 

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Noemi

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