Venture capital, nel 2015 77 deal per 120 milioni di investimenti
Il venture capital italiano è un mercato che cresce, ma non può ancora competere con le cifre che si vedono nel resto d’Europa e negli Stati Uniti. Parliamo di miliardi di investimenti contro milioni. Ma qualcosa si sta muovendo e stanno comparendo anche i primi segnali della nascita di un vero e proprio sistema.
Stando infatti ai dati del report dell’Osservatorio Venture Capital Monitor, attivo presso la LIUC – Università Cattaneo, con il supporto di AIFI, Associazione Italiana del Private Equity, le operazioni di venture capital in Italia nel 2015 sono in crescita: 77 deal, l’8% in più rispetto al 2014 (erano 71 operazioni) e il 17% in più rispetto al 2013 (con 66 operazioni). Il valore stimato è cresciuto del 33% rispetto al 2014, pari a 120 milioni di euro (da 80), ma siamo ancora lontani dai valori ad esempio di Regno Unito o Francia (tra i 500 e i 300 milioni ciascuno).
A livello generale, il venture capital pesa per il 42% sul totale del settore. Il calo rispetto al 2014 e al 2013 (quando valeva per il 44%), spiegano i ricercatori, è dovuto principalmente all’aumento del numero di operazioni di private equity che ha registrato 108 operazioni contro le 89 del 2014.

La ricerca esamina in particolare gli investimenti in seed (investimento nella primissima fase di sperimentazione dell’idea di impresa) e startup (investimento per l’avvio dell’attività imprenditoriale), che si differenziano molto in termini di taglio medio dell’investimento. In generale la partecipazione economica è aumentata rispetto all’anno precedente (1,5 milioni di euro rispetto ai 1,05 milioni del 2014). Dato comunque è ancora molto lontano da quello rilevato nel 2010, pari a 2,7 milioni
Se si punta l’attenzione sulle operazioni di start up, il dato relativo all’investimento medio si attesta a 2 milioni, mentre invece per le operazioni seed siamo nell’ordine dei 200 mila euro.
Cresce anche il numero di operatori, 49 quelli registrati nel 2015 rispetto ai 34 dell’anno precedente. In particolare, i fondi di venture capital hanno portato avanti il 43% delle operazioni, mentre gli altri, fra i quali ad esempio i business angels, il 57% .
Analizzando il grado di concentrazione del mercato, escludendo la categoria dei business angels attivi quali persone fisiche che investono a titolo personale, emerge come i primi 9 operatori abbiano catalizzato intorno a sé esattamente il 50% dell’attività, evidenziando, dunque, una significativa riduzione rispetto al 2014 (in cui i primi 6 operatori rappresentavano il 50%). Il numero di investimenti medi per investitore è dunque pari a 2,6.
In questo contesto, è importante sottolineare che il 18% dei deal è realizzato da investitori stranieri, il 100% in più rispetto all’anno precedente. Si tratta di una inversione di tendenza rispetto a ciò che si vede in questo segmento del mercato del capitale di rischio. Inoltre il 44% delle operazioni sono state svolte in syndication (41% nel 2014), quindi in co-partecipazione. “Questo è un dato significativo – sottolinea Claudio Giuliano di Aifi – perché è segno di maturità del sistema e di una maggiore capacità di attrarre investitori che vogliono mettersi in gioco e fare operazioni”.
Per Massimiliano Magrini, membro Aifi e responsabile del Venture Capital dell’associazione: “I grandi assenti, in questo mercato, sono ancora gli investitori istituzionali. Se questi allocassero anche solo una quantità delle loro risorse simile a quella degli operatori stranieri, l’Italia riuscirebbe tranquillamente a colmare il gap esistente con gli altri Paesi. In ogni caso il deal flow è in costante crescita e la presenza di operatori stranieri indica un aumento della qualità delle operazioni”.
I business angels hanno partecipato, in totale, a 23 operazioni, mostrando dunque una certa vivacità, molto di frequente in affiancamento agli operatori di venture capital in operazioni di start up, sintomo di un buon livello di cooperazione tra queste due categorie di attori.
Sul fronte della deal origination, le iniziative imprenditoriali di matrice privatistica rappresentano l’83% del mercato (in diminuzione rispetto al 2014, 89%, leggermente al di sotto del trend dell’ultimo quinquennio). Ancora in leggera ripresa gli spin-off universitari, che nel 2015 si attestano ad una quota del 13% rispetto al 10% del 2014 (9% nel 2013). Il dato va gradualmente avvicinandosi al 15% del 2011, mentre rimane ancora lontano dal 25% del 2010. Si riprendono anche le operazioni di tipo “corporate spin-off”, che hanno costituito il 4% del mercato, dopo la drastica riduzione all’1% dello scorso anno.
Non riservano troppe sorprese né i settori più finanziati né le regioni più dinamiche. Tra i primi domina l’Ict, anche se in misura minore rispetto all’anno precedente (40% contro il 56% del 2014) in favore del terziario avanzato (27%, in crescita dal 21%) e della grande distribuzione (6%). Tra le seconde si conferma il primato della Lombardia (38% del mercato), subito dopo vengono Piemonte (13%) e Lazio (12%).
“Il 2015 conferma il trend di crescita intrapreso dal segmento del venture capital nel nostro Paese – afferma Anna Gervasoni (foto a sinistra), direttore generale Aifi – dobbiamo però entrare nell’ottica che possiamo fare di più e dobbiamo porci obiettivi più ambiziosi permettendo la crescita degli operatori, lo sviluppo di un ecosistema più incisivo e dando un ruolo di maggiore rilievo alle Università e ai centri di ricerca che sono e possono essere ancor di più traino della ricerca e dell’innovazione”.