Dal governo l’ok alla fusione Bpm – Banco Popolare

Il governo benedice la fusione tra Bpm e Banco Popolare. Dopo l’incontro di mercoledì 27 gennaio al Tesoro tra il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e gli amministratori delegati di Bpm, Giuseppe Castagna (nella foto) e di Ubi, Victor Massiah, Palazzo Chigi ha fatto sapere di ritenere una fusione tra Banca Popolare di Milano, assistito da Merrill Lynch, Mediobanca e Colombo & associati, e Banco Popolare, seguito da Lazard e Citi,  la più ragionevole tra le ipotesi allo studio nel sistema bancario.

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Considerando la simile capitalizzazione delle due banche, (alla chiusura di oggi Bpm capitalizza 3,1 mld e il Banco 2,8 mld), l’operazione si configurerebbe come un ‘merger-of equal’ e dal matrimonio nascerebbe il terzo polo bancario italiano: un gruppo da 6,5 miliardi di capitalizzazione, 2.340 sportelli, 25 mila dipendenti. Ma anche con 14 miliardi di sofferenze portate in gran parte dal Banco (10,9 miliardi) e coperte per il 41%.

Quanto alla governance, che era uno dei nodi principali dell’operazione, sembra essere ormai definita: il ceo sarà Castagna, con i veronesi Carlo Fratta Pasini confermato alla presidenza e Pierfrancesco Saviotti  (nella foto) alla guida del comitato esecutivo, concedendo a Bpm spa un’autonomia per almeno sei anni. 

Sembra esclusa, quindi, l’altra ipotesi esplorata dal governo, ossia quella di una aggregazione a tre tra Popolare di Milano, Ubi Banca e Monte dei Paschi di Siena, mentre resiste, invece, l’opzione di un deal tra Ubi, assistita da Credit Suisse e Morgan Stanley, e Mps. Anche se pare che Massiah non sarebbe disponibile a prendere da solo il Monte perché si è sempre detto interessato a operazioni che creano valore. 

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In questo contesto, i conti 2015 di Mps presentati ieri 28 gennaio potrebbero giocare a favore di Siena: dopo 5 anni in perdita, la banca è tornata in utile per 390 milioni grazie alla riscrittura, imposta dalla Consob, del derivato Alexandria. Il patrimonio risulta stabile e i crediti deteriorati in calo, a quota 46,9 miliardi. Senza contare che il prezzo della banca sarebbe a sconto. Siena vale infatti appena 2,1 miliardi, circa 0,2 volte il patrimonio netto, dopo aver perso quasi metà del valore in un mese. Un prezzo che Ubi potrebbe anche affrontare in cambio ad esempio dei 5 milioni di clienti in pancia a Mps.  

Per l’ad di Mps Fabrizio Viola (foto a destra), intervistato da La Repubblica, l’ipotesi di una fusione tra Ubi e Mps presenta aspetti positivi sotto il profilo industriale e «basati soprattutto sulla pressoché assenza di sovrapposizioni geografiche», mentre un’aggregazione a tre è molto complessa. «In questi giorni si fanno tanti nomi», ha detto, «ma ad oggi non c’è un’opzione sul tavolo: aspettiamo che questa si concretizzi».

Noemi

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