Quando il governo dice no al private equity
Basta investimenti in private equity. Nelle scorse settimane il governo norvegese ha preso una decisione molto chiara circa l’attività del fondo sovrano nazionale, il più grande al mondo con i suoi mille miliardi di dollari. Nel suo annuale paper, il ministro delle Finanze, Siv Jensen (nella foto), ha infatti asserito che gli investimenti in private equity non siano compatibili con le linee guida del fondo, in cui confluiscono i ricavi realizzati dal Paese attraverso la vendita del petrolio. Mettere risorse in realtà non quotate, per il ministro, rischierebbe di intaccare il modello di investimento del veicolo, basato su trasparenza, bassi costi di gestione e una limitata attività sul portafoglio.
Ciò che più preoccupa Jensen, come ha spiegato lei stessa a Reuters, è la questione reputazionale: «La trasparenza è molto importante in quanto legittima l’attività del fondo», ha detto, aggiungendo che in questo senso «la scarsità di informazioni pubbliche in questo tipo di investimenti potrebbe essere un problema».
Di certo non è stata una scelta semplice per il governo norvegese. Stando infatti al Financial Times, all’interno del Mef scandinavo ci sarebbe stato un grande dibattito tra i sostenitori del private equity, considerato un buon sistema per diversificare il portafoglio e ottenere migliori rendimenti esattamente come fanno altri fondi sovrani, e i detrattori del private capital, convinti che il successo del veicolo stia nell’essere sostanzialmente un grandissimo index fund (che possiede circa l’1,4% di ogni global company quotata). Alla fine però sembra essere prevalso il parere di quest’ultimo gruppo.
Di contro, però, il governo ha dato il via libera a operazioni nelle infrastrutture per la produzione di energia da fonti rinnovabili, come i parchi solari o quelli eolici, oltre ai classici strumenti quali azioni, bond e proprietà all’estero.
*Questo articolo è tratto dalla rubrica Follow the Money presente sulla rivista MAG. Scarica qui l’ultimo numero