Unicredit, salta l’accordo tra Pioneer e Santander ma si valuta l’Ipo
Già all’indomani della Brexit l’accordo sembrava in bilico. Ora l’annuncio ufficiale: l’aggregazione tra Pioneer Investments e Santander Asset Management, operazione da oltre 5 miliardi di euro che avrebbe dato vita a uno dei primi 10 operatori europei del risparmio gestito con 400 miliardi di asset, non si farà.
Lo ha annunciato la stessa UniCredit specificando di aver concordato con il Banco Santander e Sherbrooke Acquisition Corp di porre fine agli accordi stipulati lo scorso 11 novembre 2015.
“Le parti”, si legge nella nota, “hanno condotto discussioni approfondite per individuare le soluzioni praticabili per soddisfare tutti i requisiti regolamentari necessari per completare la transazione ma, in assenza di una soluzione realizzabile entro un arco di tempo ragionevole, le parti hanno concluso che fosse più appropriato porre fine alle trattative”.
Quali siano questi requisiti regolamentari non è possibile saperlo, anche se i problemi potrebbero esserci stati a livello nazionale. Le due capogruppo avevano infatti incassato il via libera della Commissione europea all’integrazione, perché non sollevava problemi di concorrenza viste le limitate sovrapposizioni tra le due società e la presenza di una serie di competitor forti. All’appello mancavano però i nulla osta da parte della Bce e delle banche centrali di Italia e Spagna. Ed è forse in quelle stanze che i requisiti di cui sopra potrebbero non essere stati pienamente soddisfatti.
In alternativa, una spiegazione dello stop all’aggregazione potrebbe venire dal fatto che il neo amministratore delegato, Jean Pierre Mustier (nella foto), non consideri più la fusione come strategica per il gruppo. In questo senso, per Pioneer potrebbe essere già pronta un’alternativa. Come riporta la nota, per Pioneer verranno esplorate “le migliori alternative nell’interesse di tutti gli stakeholders”. Tra queste anche una potenziale Ipo, con l’obiettivo di garantire a Pioneer “le risorse adeguate per accelerare la sua crescita”.
Nel piano di riorganizzazione che Mustier sta portando avanti, e che si è concretizzato prima con la cessione del 10% delle quote rispettivamente della polacca Bank Pekao e di Finecobank e poi con la riorganizzazione delle prime linee dirigenziali, il gruppo starebbe studiando, secondo Bloomberg, anche un piano per un aumento di capitale da 5 miliardi di euro, la vendita di un pacchetto di sofferenze e la cessione di tutta la controllata polacca Pekao. Parliamo di una quota pari al 40% della banca polacca, che valorizzato alle stesse condizioni con cui è stato ceduto il precedente 10% rappresenterebbe un possibile introito di altri 3 miliardi.
Capitali che, nelle intenzioni del management, servirebbero a far fronte alle potenziali svalutazioni di crediti da registrare nell’ambito della cessione dei pacchetti di sofferenze.
Intanto la revisione al vertice è stata salutata positivamente dagli analisti. Per gli esperti di Mediobanca “il mercato apprezzerà la discontinuità e la velocità a cui sta procedendò il nuovo ad”. Tuttavia, per applicare il piano, notano da Piazzetta Cuccia, “il principale ostacolo saranno i tempi, dato che il management probabilmente preferirà evitare di andare sul mercato in concomitanza con il referendum costituzionale italiano” in calendario in ottobre.
Equita sim nota invece che l’ipotesi di un doppio fronte aumento di capitale e vendita di Pekao “rappresenta una novità rispetto allo scenario di base che ipotizziamo visto che l’aumento dovrebbe escludere cessioni di dimensioni rilevanti”. Dal punto di vista strategico, aggiungono gli esperti, “la cessione di Pekao priverebbe Unicredit della leadership in un mercato con tassi di crescita e rendimenti notevolmente superiori alla media di gruppo, riducendo il potenziale” di revisione al rialzo delle valutazioni della banca nel suo complesso.