Covivio, il rinascimento di Milano passa dagli uffici

Uffici a Milano. Se pensate che il binomio sia stato irrevocabilmente compromesso dalla pandemia di Covid-19, sappiate che uno dei maggiori player europei del real estate non la pensa così. Anzi, è fermamente convinto che il capoluogo lombardo sia the place to be in Italia e che gli uffici non verranno uccisi dallo smart working.

Alexei Dal Pastro (nella foto) guida l’ufficio italiano del gruppo Covivio: circa 24 miliardi di euro di patrimonio gestito e 8 miliardi di euro in progetti in fase di sviluppo in Europa, quotato all’Euronext di Parigi e su Borsa Italiana, conta oltre 990 dipendenti in Europa, tra le città di Milano, Parigi e Berlino.
Covivio è il principale artefice della rinascita del quartiere di Porta Romana, attorno al progetto Symbiosis. E ha in mano immobili di grande pregio, per lo più nelle aree centrali e semicentrali di Milano.
In questa intervista, Dal Pastro approfondisce alcuni concetti già espressi nel corso di un webinar organizzato da Financecommunity (vedi il resoconto sul numero 144 https://financecommunity.it/crowdfunding-vs-covid-folla-in-campo-per-le-imprese/), in particolare riguardanti l’ufficio post-Covid. E conferma l’interesse per l’area dello scalo ferroviario di Porta Romana.

Dal Pastro, qualcuno sostiene che dallo smart working sperimentato durante il lockdown milioni di lavoratori (e migliaia di imprese) non torneranno più indietro. Sarà davvero così?
«Penso sia ancora un po’ prematuro trarre una simile conclusione. Certo, capisco che tutti – analisti e investitori in primis – vogliano avere risposte chiare. Posso dire che sicuramente questa esperienza, per quanto vissuta forzatamente, avrà un impatto. I grandi utilizzatori di uffici stanno riflettendo internamente su come aggiornare la politica di utilizzo degli spazi».

E che linea si stanno dando, i grandi tenant?
«La verità è che non ci sono ancora idee chiare e definitive. Recentemente, in collaborazione con il Politecnico di Milano, abbiamo riunito attorno a un tavolo cinque multinazionali, nostre clienti, per capire qual è la loro view. Dal confronto è emerso che tutti gli utilizzatori di uffici stanno ragionando internamente sull’evoluzione del modello di utilizzo degli spazi, ma non sono emerse linee certe, comportamenti definitivi e condivisi».

Covivio, però, si muove nella convinzione che l’ufficio non sia morto…
«Quello che abbiamo sperimentato negli ultimi mesi è stato home working, non smart working. Già prima che esplodesse la pandemia la nostra strategia era volta alla realizzazione di uffici smart, integrati nel contesto urbano e abilitanti a buone performance lavorative. Gli uffici dovranno avere ancora più tecnologia. E sarà necessario suddividere gli spazi, sia per quanto riguarda le postazioni, migliorando il benessere del lavoratore grazie alla disponibilità di più metri quadri, sia rendendo più comodo e salubre l’ambiente, per esempio migliorando la qualità dell’aria».

L’ufficio come estensione dell’abitazione, dunque…
«Ciò che le persone hanno particolarmente apprezzato del lavoro da casa è la flessibilità degli spazi. Vedremo un passaggio dal desk tradizionale a nuove superfici. E verranno introdotti spazi dedicati alla socialità e al team building. Cresceranno gli ambienti di lavoro all’aperto, come terrazzi e aree verdi. Inoltre, gli uffici dovranno necessariamente essere sempre più vicini agli hub di comunicazione, intesi come trasporti, perché il problema principale è raggiungere il luogo di lavoro (poi, come ben sanno i pendolari, c’è la grande tematica di come funziona – anzi, di come non funziona – il trasporto pubblico, ma questo non possono risolverlo le società immobiliari, ndr). L’obiettivo finale è massimizzare produttività e benessere del lavoratore».

Attualmente, nella cosiddetta Fase 3 della pandemia, qual è la percentuale di utilizzo degli uffici nel vostro portafoglio (che ha un tasso di occupazione degli spazi, cioè di società che pagano l’affitto, del 98,6%)?
«Da quel che ci risulta, siamo dal 30 al 50% di utilizzo. Negli uffici milanesi di Covivio siamo al 50%, decisamente sopra la media». È evidente che un tasso di occupazione così basso induce le società a fare delle riflessioni sul costo del real estate…
«Spero che torneremo gradualmente all’utilizzo pieno dopo settembre, con una progressiva accelerazione sino al 2021. Di sicuro, emergerà con sempre maggiore chiarezza la differenza fra edifici datati e quelli di nuova generazione».

Quindi, il focus di Covivio – uffici a Milano – non cambia?
«Nessuna deviazione rispetto alla linea che ci siamo dati. I cantieri a Milano sono rimasti fermi 53 giorni per il lockdown, poi sono prontamente ripartiti con le misure di sicurezza richieste dalla legge».

Come è composto il portafoglio attuale?
«Il 75% degli immobili è a Milano, ma se escludiamo il portafoglio di Telecom Italia – che è molto granulare e composto da centraline telefoniche – la percentuale sale a oltre il 90%. Riteniamo che ci sia ancora tantissimo lavoro da fare nel capoluogo lombardo».

E intendete restare concentrati sugli uffici o diversificare in altri segmenti?
«A parte gli uffici, un altro segmento che ci interessa è l’alberghiero, abbiamo una practice dedicata, Covivio Hotel, che gestisce circa 400 hotel in 12 Paesi in Europa. In Italia abbiamo comprato quattro hotel (uno a Roma, due a Venezia e uno a Firenze). Ma stiamo parlando di un settore che ha subìto un impatto molto pesante dal Covid-19».

Torniamo a parlare di uffici: siete talmente convinti che – nonostante le regole di distanziamento sociale – abbiano un futuro florido da non aver fatto un passo indietro nemmeno rispetto a Wellio, il concept di pro-working…
«No, lo spazio italiano (il primo, dopo cinque siti operativi in Francia, ndr) aprirà il 31 agosto. Siamo molto ottimisti, abbiamo visto che le attività di marketing hanno raccolto grande interesse: gli spazi sono pre-affittati per tre quarti. E sono particolarmente interessate le grandi aziende…

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