Due diligence, il primo passo è pianificare

di nicola barbiero*

 

Iniziamo a sporcarci le mani con la vera e propria due diligence: il primo passo è pianificare.

Nell’ultima occasione, grazie al supporto del dottor Marco Di Miceli, Partner di Sequitur Capital, si è visto come il processo di due diligence richieda a monte una pianificazione strutturata e tale da permettere all’investitore di massimizzare l’efficienza (di tempo, risorse e costi) in questa particolare e delicata fase dell’investimento.

Nei giorni successivi, insieme al dottor Di Miceli, ho avuto modo di ritornare sul tema: “L’organizzazione della selezione – riprende Marco – scaturisce dalla politica di portafoglio del fondo pensione, che può prevedere l’allocazione di risorse agli alternative asset. In questa ipotesi si deve decidere la quota del patrimonio in gestione da destinare a fondi chiusi, e quindi a quali tra essi, secondo criteri di selezione”.

Una recente indagine di Mercer riporta una puntuale evidenza sull’asset allocation adottata dai fondi pensione nei principali Paesi del continente Europeo. La media dell’esposizione agli asset alternativi è del 15% con picchi del 27% e 21% rispettivamente in Germania e nel Regno Unito e un sorprendente 19% in Italia. “C’è un’ampia convergenza di vedute sull’opportunità di detenere quote di fondi chiusi nell’ambito di un portafoglio sufficientemente diversificato – conferma Di Miceli –. Ciò perché, in fasi del ciclo economico come quella attuale, i rendimenti delle altre tipologie d’investimento (dall’immobiliare ai Titoli di Stato, giusto per citare le fattispecie più comuni in Italia) non sono sufficienti a garantire nel lungo termine l’erogazione delle prestazioni ai propri iscritti”.

Proprio nella fase di pianificazione si deve tenere ben a mente la parola “diversificazione”: “Limitandoci alle caratteristiche principali, è fondamentale che, all’interno della quota del patrimonio dedicata agli investimenti alternativi, il gestore del Fondo Pensione persegua una strategia di asset allocation volta a diversificare gli impieghi per tipologia di prodotto (es: private equity, venture capital, private debt), geografia (es: Italia vs. estero) e anno di raccolta (c.d. vintage) del fondo chiuso – conferma Marco –.  Diversificare attraverso la costruzione di un portafoglio di fondi eterogenei, in particolar modo per vintage, consente di pianificare con buona approssimazione i flussi, dapprima in uscita e poi, auspicabilmente, in entrata, e di temperare il profilo di illiquidità tipico degli alternative asset.” Con queste attenzioni il Fondo Pensione “potrà stilare un elenco di candidati tra i quali selezionare i gestori dei fondi che andrà a sottoscrivere, pianificare un calendario d’incontri con i loro team e, ove possibile, con alcune delle aziende in portafoglio. I cosiddetti one-to-one meeting sono a mio avviso indispensabili per comprendere stile e dinamiche del team di gestione; non dimentichiamo infatti che il nostro resta pur sempre un business di persone, nel quale la credibilità individuale e la capacità di gestire situazioni complesse fanno la differenza”.

Ecco che l’attività di due diligence del Fondo Pensione entra nel vivo e dovrà permettere al CdA del Fondo stesso di capire le specificità di ogni singolo soggetto e la coerenza tra il futuro progetto, nel quale il Fondo potrebbe investire, e la strada percorsa fino a quel momento, senza dimenticare la ricerca costante dell’allineamento di interessi tra managers ed investitori.

Pianificata la due diligence, nella prossima occasione si proverà a capire come analizzare i gestori e quali tematiche potrebbe, più di altre, funzionare da sentinelle per individuare situazioni di stress, poco “amiche” degli investitori.

 

 

 

*Cfo di un fondo pensione negoziale

Questo articolo fa parte del blog “Serve del catch up”, leggilo qui.

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