Come gestire l’effetto J-Curve per gli investimenti alternativi

di Nicola Barbiero*

 

Tra i freni, se così li possiamo definire, che vengono evidenziati da alcuni investitori previdenziali nell’analisi delle asset alternative rientra la J-Curve cioè un trend tipico dell’investimento in fondi di private equity e che si ritrova, con profondità e ampiezze diverse, in pressoché tutte le tipologie di fondi chiusi. Come limitarlo?

Possiamo sinteticamente spiegare l’effetto J-Curve come l’evoluzione, in termini di rendimento, che l’investitore si attende da un fondo chiuso. Se volessimo rappresentare questa tendenza in un grafico dove nelle ascisse indichiamo il tempo e nelle ordinate il rendimento, ci troveremo di fronte a una curva che richiama la forma della lettera “J” inclinata verso destra e da qui “J-curve” (si veda grafico) e, nella pratica, questo è da collegare ai rendimenti negativi che l’asset class rileva nel momento immediatamente successivo all’investimento per poi, ci si aspetta, creare valore nel medio-lungo periodo.

L’investitore può aspettarsi che questa dinamica vada ad attenuarsi in un arco di tempo maggiore o minore a seconda della tipologia di strumento oggetto di sottoscrizione; proprio in questo senso penso che sia utile condividere un primo punto: tutti gli investimenti sono soggetti a questo trend a prescindere che si prenda a riferimento il mercato quotato o che si tratti di private markets. Nel primo caso, infatti, il costo applicato dall’intermediario sulla transazione si riflette in un immediato rendimento negativo dell’investimento che può essere “assorbito” in modo più o meno veloce a seconda dell’andamento del mercato; per i private markets il tema è leggermente più complesso e merita maggior attenzione.

In questo caso il processo preliminare di analisi e valutazione richiede maggiore complessità e una diversa strutturazione e maggiori costi iniziali; a questo primo elemento se ne aggiunge un secondo legato al differente modo attraverso il quale si crea valore dall’investimento. Entrambi gli effetti incidono sull’”effetto J”: maggiori sono i costi iniziali, maggiore sarà la “profondità” della “J”; maggior è il tempo necessario per creare valore, maggiore sarà l’”inclinazione” della “J”.

Un fenomeno che possiamo descrivere come “fisiologico” negli investimenti alternativi che gli investitori previdenziali hanno, comunque, il compito di limitare: i fondi pensione negoziali, infatti, valorizzano il proprio patrimonio almeno su base mensile al mark to-market registrando, quindi, tutte le minusvalenze dei primi anni d’investimento via via che le stesse maturano.

Come fare per gestirlo? Mi permetto di proporre due strade, che considero complementari.

La prima consiste nel limitare gli investimenti in asset class alternative ai comparti del fondo pensione destinati agli iscritti più lontani al pensionamento. In questo caso, come abbiamo già avuto modo di commentare, gli aderenti potranno beneficiare a tutti gli effetti del valore aggiunto che l’investimento andrà a creare e la loro posizione previdenziale non risentirebbe delle minusvalenze nel breve periodo (a meno si verifichino erogazioni di anticipo che, comunque, riguardano un ammontare limitato della posizione).

La seconda strada da percorrere dovrebbe essere, a mio avviso, la pianificazione del programma d’investimento: qualora il fondo pensione scelga di investire in asset class alternative, infatti, dovrebbe cercare di allocare il patrimonio in modo graduale così da “spalmare” l’effetto J su un arco temporale maggiore evitando, così, una curva troppo profonda (vero rischio per un fondo pensione) e accettando, allo stesso tempo, una sua maggior inclinazione (il fondo pensione è un investitore di lungo periodo e questo non dovrebbe rappresentare un vero e proprio rischio).

Solo a titolo “teorico” riporto una terza via da poter seguire rappresentata dal mercato secondario dei fondi. Si tratta di una via, per l’appunto, teorica in quanto non esiste un vero e proprio secondario (per i fondi italiani) e qualora esista (fondi europei o globali) c’è comunque la possibilità che i costi sostenuti inizialmente per raggiungerlo portino, anche in questo caso, ad avere un “effetto J”.

Nella pratica, quindi, due possibili soluzioni, complementari tra loro che permettono di limitare notevolmente l’iniziale “J-curve” e che possono aiutare il fondo pensione a valutare con maggior serenità e consapevolezza questo tipo di investimento.

 

 

*Cfo di un fondo pensione negoziale

Questo articolo fa parte del blog “Serve del catch up”, leggilo qui. 

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