Ipem 2020: per il private equity la recessione non è vicina

C’è aria di ottimismo fra i private equity che si aggirano nel grande salone del Palais des festivals di Cannes, l’iconico edificio che il grande pubblico conosce e ama soprattutto per il Festival del cinema ma che per il mondo degli investimenti è sinonimo di Ipem, il convegno che ogni anno da cinque anni riunisce i principali rappresentanti europei e non del settore, di cui Financecommunity.it è media partner.

L’edizione 2020 ha visto la partecipazione di circa 2900 professionisti fra private equity, investitori istituzionali, studi legali, advisor e associazioni. Facendo slalom tra gli stand, spostandosi tra un caffè e un aperitivo, seguendo tavole rotonde e intascando in borsette di tela brandizzate simpatiche paperelle rappresentanti diversi mestieri, powerbank o le ormai immancabili borracce salva ambiente, in questa tre giorni i professionisti del settore si sono incontrati in meeting one to one con vista mare perseguendo quello che è il vero obiettivo della conference: fare network. E l’idea è che il posto sia quello giusto.

Ma quali sono le aspettative dell’industria che lo scorso anno a livello europeo ha registrato oltre 3.800 operazioni per un valore di 453,5 miliardi di euro?

Stando alla survey Ipem 2020, condotta intervistando 370 attori di private equity con il supporto di 10 associazioni professionali nazionali, nonostante una sensazione di una imminente fine del ciclo rilevata tra i professionisti, la maggior parte delle società di gestione non temono una grave recessione economica nei prossimi 12 mesi.

E nonostante la preoccupazione per l’ascesa del protezionismo e del populismo nelle principali economie mondiali e la sensazione di  un peggioramento del clima imprenditoriale nel corso del prossimo anno – ne è convinto il 56% degli intervistati – l’industria europea del private equity rimane molto ottimista sulle opportunità che ci saranno nel 2020. Quasi tre professionisti su quattro prevedono un ambiente favorevole al fundraising, con quasi due terzi che si preparano persino a lanciare nuovi fondi e un terzo a proporre nuove strategie.

Parallelamente, il 59% dei fondi intervistati prevede un aumento del numero di player nei prossimi mesi, con particolare attenzione all’area del Benelux all’Italia, mercato che – sono tutti concordi – è ritornato al centro dell’interesse degli investitori. Gli stessi general partners (gp) italiani sono fra i più ottimisti, con il 30% che si aspetta che il 2020 sia migliore del 2019.

Per gli operatori ci sono però alcune criticità. La principale è il livello elevato delle valutazioni, che è al top delle preoccupazioni dei professionisti del settore. L’86% di loro (dal 79% dello scorso anno) cita i prezzi stratosferici come una grande sfida e oltre il 40% dei gp prevede un incremento di questa inflazione nelle valutazioni nel 2020.

Altro elemento interessante è la volontà di uscire dai confini della propria nazione. Il 70% dei fondi si prepara a investire al di fuori del proprio mercato domestico e in particolare Nord America (30%), Asia (22%) e paesi emergenti (22%) ma anche il Sud Europa, soprattutto per via della Brexit.

Età della maturità?

L’indagine Ipem 2020 rivela che l’industria del private equity ha iniziato a comprendere sempre di più il suo impatto e le sue responsabilità, che ora vanno ben oltre l’universo degli investimenti.vI professionisti sono più che mai consapevoli del loro impatto sull’economia in generale, ad esempio il 36% di loro cita la creazione di posti di lavoro come un contributo importante della propria attività mentre altri osservano che l’industria sta contribuendo sempre più alla trasformazione tecnologica del continente.

Tuttavia, i professionisti del private equity avvertono di non essere in grado di risolvere tutti i problemi da soli: per fare un esempio solo il 9% considerando che possono avere un impatto sui cambiamenti climatici. Un’osservazione contrastante che tuttavia non impedisce alle società di gestione di collocare l’Esg come seconda priorità (menzionata dal 48% degli intervistati, rispetto al 36% dell’anno scorso), dopo la gestione dei talenti.

Noemi

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