JP Morgan crea indice che misura l’impatto dei tweet di Trump sui mercati
Non è di certo una novità il fatto che Donald Trump sia un assiduo utilizzatore di Twitter: l’abbiamo scoperto tutti, nostro malgrado, in occasione delle sue “guerre di tweet” con il leader coreano Kim Jong-un, o degli improvvisi attacchi a nazioni come la Cina, talvolta accompagnati da inaspettate minacce di sanzioni, o già durante la campagna elettorale che lo portò alla Casa Bianca, in cui il social network fu teatro di continui e velenosi affondi contro la concorrente democratica Hillary Clinton. Si potrebbe andare avanti per ore, dato che il profilo Twitter del tycoon americano, tra i più seguiti al mondo, twitta in media 10 volte al giorno dal 2016: recentemente non ha mancato di esprimere gradimento per il nuovo governo italiano guidato da “Giuseppi” Conte.
La “twittomania” del presidente Usa ha dimostrato peraltro di poter suscitare effetti degni di nota sugli andamenti dei mercati globali: praticamente qualsiasi atto di politica economica o monetaria dell’amministrazione Trump è stato annunciato su Twitter. Anche gli analisti di un colosso come JP Morgan lo confermano. “Le dinamiche di prezzo di un’ampia fascia di asset, dalle singole azioni ai macro-panieri, sono ormai influenzate da una manciata di tweet del comandante in capo”, si legge nel report.
Proprio per questo la banca americana ha creato un indice dedicato esclusivamente a misurare l’impatto dei tweet presidenziali sull’andamento dei titoli di stato americani. Il suo nome è “Volfefe“, ed è proprio qui che va cercato l’unico pizzico di ironia dell’operazione: deriva infatti dall’unione dei termini “volatility” (riferito alla volatilità dei bond oggetto dell’indice) e di “covfefe”, quest’ultimo divenuto celebre per essere un termine “nonsense” lasciato per sbaglio da Trump in uno dei suoi tweet.
Per il resto, l’analisi di JP Morgan è seria e approfondita: l’indice monitora innanzitutto i rendimenti dei titoli di Stato americani nei cinque minuti successivi a un tweet, per poi analizzarne le parole chiave e calcolare la probabilità che l’uso di ognuna di queste porti a una reale oscillazione dei rendimenti.
Con questo metodo, gli analisti americani sono riusciti innanzitutto a dividere i tweet “innocui” da quelli che sono stati effettivamente “market-moving” (in tutto 146) e a individuare le key words più “pericolose” (su tutte ovviamente “China”, “products” e “billion”, usate in riferimento alla guerra dei dazi con la Cina). Parte dell’analisi riguarda anche il successo dei tweet tra gli utenti del social network. Successo che sembra stare scemando: sono infatti in calo i like e i retweet relativi ai tweet presidenziali.