Npl e utp: nello shipping valgono oltre 7 miliardi

Nonostante sia un mercato di dimensioni piuttosto ridotte, lo shipping negli ultimi 36 mesi si è resto protagonista di una serie di deal che hanno fatto notizia, legati soprattutto passaggi di portafogli di crediti deteriorati o a complesse operazioni di ristrutturazione che hanno coinvolto operatori internazionali.

Sono forse proprio le difficoltà insite al settore a renderlo interessante per la finanza tradizionale. Anche perché in termini di valori, l’ammontare di npls dello shipping in circolazione rappresenta una piccola percentuale rispetto al totale. Il 2,6 % circa per l’esattezza, cioè circa 7,6 miliardi di dollari sui 266 miliardi di crediti deteriorati totali.  «È un mercato che finora si è prestato poco alla cessione rispetto ad altri – osserva Fabrizio Vettosi, direttore generale di Venice Shipping & Logistics – soprattutto perché le banche hanno ritenuto poco conveniente vendere questi crediti cash al 70-80% del valore di garanzia e allo stesso tempo per un lungo periodo non ci sono stati operatori specializzati in grado di acquisire questi portafogli». Con gli anni però la situazione è cambiata e al 2016 erano stati ceduti da parte delle banche crediti incagliati per circa 1,6 miliardi di dollari in totale. Se consideriamo anche il 2017 la somma dovrebbe superare i 2 miliardi mentre in circolazione ce ne sarebbe un altro miliardo destinato a essere ceduto nel corso dei prossimi mesi, stando ai calcoli di Venice Shipping & Logistics. Facendo due conti, dunque, le cessioni entro fine anno dovrebbero aggirarsi attorno ai 3 miliardi in totale.

 

Prestiti totali a 14 miliardi

Se consideriamo tutti i prestiti del settore, i crediti incagliati rappresentano circa il 56% del totale che al 2016 erano pari a 14 miliardi di dollari dei quali 7 in capo a Unicredit e Intesa Sanpaolo. A livello mondiale, i tradizionali prestiti bancari sono scesi dal 2011 al 2016 del 4,8% passando a 370 a 319 miliardi di dollari. Fra le banche italiane Unicredit è la più attiva nel mercato navale ma ha ridotto dal 2008 la sua esposizione di 6,5 miliardi di dollari attestandosi a fine 2016 a circa 4,4 miliardi di standing con gli armatori di tutto il mondo.

Un dato interessante per valutare il mercato è il coefficiente loan to value medio (LTV), che indica il rapporto tra il finanziamento concesso e il valore del bene sottostante e che si aggira intorno a un valore inferiore all’80%, mentre il loss given default (LGD) è di un valore inferiore al 20%. Tuttavia, spiega Vettosi, «occorre differenziare l’LTV delle flotte passeggeri, che vanno bene, e di quelle per il trasporto delle merci, come i dry tanker o i culk carrier (trasporto carico secco) che hanno un loan to value superiore al 100%». Non a caso la maggior parte degli npls, evidenzia Vettosi, «è riconducibile a navi bulk carrier e cisterne». Per fare qualche esempio, per le portarinfuse nel periodo pre-crisi l’LTV ha toccato il 189% e per le cisterne il 144% comportando svalutazioni notevoli nei bilanci delle shipping company e delle banche stesse, essendo crollati i valori degli asset.

Oggi l’intera flotta italiana, secondo le stime di Clarksons, vale 34,5 miliardi di dollari (contro 106,6 miliardi della Grecia per fare una comparazione con il mercato principale) mentre sulla stazza lorda all’Italia fa capo una capacità di stiva di 43 milioni di tonnellate (contro 217,1 milioni della Grecia).

 

Da Mps a Pillarstone

Il mercato, dunque, non è certo fra i primi per dimensioni – così come tanti altri business italiani – ma nell’ultimo anno e mezzo è stato teatro di una serie di operazioni attraverso le quali le banche e soprattutto i fondi di investimento, più o meno specializzati nel settore, hanno trovato un accordo sbloccando dall’impasse del debito molti gruppi armatoriali nazionali. Fra quelle più significative c’è stata la vendita ad agosto di un portafoglio di Utp shipping da 160 milioni, relativo a sette navi italiane, a Sc Lowy e a Taconic Capital. Il pacchetto di npl passato di mano comprende diverse tipologie di asset navali relative a società armatoriali quali Finaval, Four Jolly (joint venture fra Premuda e il Gruppo Messina), Perseveranza di Navigazione, Fertilia, Liberty di Navigazione e Fratelli D’Amato.

A proposito di Fratelli D’Amato, a dicembre dello scorso anno sempre Sc Lowy ha acquistato un pacchetto di crediti che è stato ceduto da Intesa Sanpaolo, Mediocredito Italiano e Unicredit che riguarda non solo crediti vantati verso la società per circa 33,6 milioni di euro e anche verso Best Vessels (circa 28 milioni). Taconic Capital, invece, si era già messa in evidenza nello shipping italiano a inizio 2017 per l’acquisto di 49 milioni di crediti incagliati ceduti da Ubi Banca e relativi a Gestioni Armatoriali. Poco prima, a marzo, anche Banco Bpm aveva ceduto ad Attestor un credito da 33 milioni di dollari sempre verso Gestioni armatoriali, mentre a fine febbraio Attestor insieme a Deutsche Bank avevano acquistato da Intesa Sanpaolo un credito da 85 milioni di dollari.

Come visto, gran parte delle cessioni di crediti deteriorati nel comparto navale sono avvenute a pacchetti, i cui acquirenti sono stati grandi fondi d’investimento più o meno specializzati. In questi anni Goldman Sachs ha fatto shopping per 206 milioni di dollari, Deutsche Bank per 193 milioni, Bank of America per 3,8 milioni e Pillarstone per 281 milioni.

Fra i deal, a marzo dello scorso anno, per fare un altro esempio, Bain Capital si è aggiudicata la Giuseppe Bottiglieri Shipping Company, dopo l’ok del Tribunale di Napoli, acquisendo per205 milioni i crediti della maggioranza dei creditori tra cui Banca Monte dei Paschi di Siena, Mps Capital Services, Banco di Napoli e Unicredit.

I deal più significativi nel settore sono avvenuti nel 2017. Parliamo in particolare di quelli orchestrati da Pillarstone Italy, il veicolo del private equity KKr, che quell’anno ha comprato dalle banche 560 milioni di euro di crediti bancari  – 246 milioni in bilancio al Banco di Napoli, 187 milioni a Mps e 127 a Mps Capital Services –  su un totale di debiti verso le banche del gruppo di 890 milioni verso Rizzo Bottiglieri De Carlini Armatori entrando nel capitale della shipping company. Nel settore Pillarstone aveva già siglato la prima operazione l’anno precedente con Premuda, rilevandone il debito verso Unicredit, Intesa Sanpaolo e successivamente siglando l’accordo di ristrutturazione con tutte le banche creditrici. Più di recente invece Dea Capital, con Idea Ccr II,  ha raccolto un portafoglio di crediti per circa 200 milioni di dollari vantati da tre delle banche partner del fondo, cioè Banco BPM, Banca IFIS e UBI Banca, verso otto società di gestione armatoriale.

 

Un settore complesso

Come osserva l’avvocato Furio Samela, partner responsabile del dipartimento di shipping finance dello studio Watson Farley & Williams e advisor in molte delle operazioni citate, «finora l’andamento del mercato della compravendita di npl riferiti a singole posizioni è stato caratterizzato dal fatto che le banche sono state poco propense a cedere questi crediti ad un prezzo molto ridotto. Diverso è invece il discorso se oggetto di cessione è un intero portafoglio di crediti incagliati: in tal caso, infatti, la banca sarebbe più incline ad accettare uno sconto sostanzioso rispetto al valore nominale di tali crediti a fronte dell’eliminazione dal bilancio di tutte o gran parte delle posizioni non performing nel settore dello shipping».

In ogni caso, gestire questi asset è molto complesso, soprattutto in circostanze dove è difficile trovare una soluzione condivisa con gli armatori. «I crediti garantiti da ipoteche navali sono totalmente diversi da quelli immobiliari ed hanno le loro peculiarità», osserva l’avvocato, «ad esempio, qualora si volesse escutere l’ipoteca, è di primaria importanza che il sequestro della nave avvenga nel porto di una giurisdizione che sia favorevole al creditore ipotecario, perché non tutte le giurisdizioni lo sono». Inoltre, aggiunge Vettosi, «il modello di business delle rispettive industry è differente. Nel real estate la funzione del bene, cioè l’immobile, è totalmente passiva e non connessa a scelte strategiche o a scenari esterni globali; viceversa nello shipping la determinante “gestionale” e operativa connessa al track record e al fattore umano possono essere determinanti sulle performance e i relativi “flussi” operativi generati dagli asset».

Per Samela la situazione si è in parte sbloccata negli ultimi mesi «anche per la presenza di operatori meno speculativi caratterizzati da un approccio più industriale verso tale settore». In questo senso, l’apertura del mercato e l’arrivo di altri soggetti per il professionista «confermano il rinnovato interesse nel business del trasporto marittimo e ciò potrebbe indurre le banche a dismettere gli altri crediti ancora in portafoglio». Su questo punto è invece più scettico Vettosi, per il quale in primo luogo esiste «il tema del track record del management team del fondo: nel settore in esame è necessaria una solita e ben strutturata view prospettiva di tutti i segmenti e le particolarità di questo mercato» e in secondo luogo «non sempre la cessione a un fondo è più conveniente in termini di assorbimento di capitale mentre una  gestione attiva e autonoma concordata con il borrower potrebbe rappresentare la soluzione tecnicamente più efficace e meno rischiosa». Quello su cui tutti concordano, come evidenzia Samela, è che «poiché il valore delle navi è fortemente legato all’andamento dei noli e quindi del mercato, nello shipping per creare valore occorrerebbe avere economie di scala. L’ideale sarebbe valorizzare al massimo possibili forme di collaborazione sfruttando al meglio le sinergie industriali che possono scaturirne».

 

 

La scommessa di Dea Capital

Per quanto complesso, lo shipping sembra piacere ai fondi di investimento, considerati dalle banche spesso l’unica alternativa quando si tratta di liberarsi di incagli nel settore. Proprio un mese fa, DeA Capital Alternative Funds, la società del gruppo DeA Capital, ha ampliato il comparto crediti del fondo di restructuring lanciando il comparto CCR Shipping e andandosi ad affiancare ad altri player del settore come Pillarstone.

In fondo ha già raccolto un portafoglio di crediti per circa 200 milioni di dollari vantati dal sistema bancario verso otto società di gestione armatoriale provenienti da tre banche,cioè Banco BPM, Banca IFIS, UBI Banca, ma già si prevede l’estensione del comparto anche ad altri due istituti.

«Da tempo abbiamo riscontrato un’esigenza di riconciliazione degli obiettivi e delle necessità da un lato delle banche di accelerare il deleveraging e dall’altro degli armatori di dotarsi di strutture finanziarie adeguate a un mercato che ha vissuto una profonda crisi», spiegano Sara Bertolini, managing director e responsabile del nuovo comparto shipping, e Vincenzo Manganelli, managing director. Da qui, «abbiamo avuto l’idea di lanciare un comparto dedicato allo shipping, con lo scopo di sostituirci alle banche quale soggetto terzo, con un approccio al credito paziente e attento alle esigenze industriali delle società armatoriali». In pratica, «il nostro compito è capire come massimizzare il valore delle navi a seconda del momento, quindi cederle se i noli non bastano a sopperire i costi, o utilizzarla per il trasporto. Il tutto potendo controllare i flussi finanziari e quindi avendo chiaro il quadro della situazione della società». Il fondo avrà anche la possibilità di investire nuova finanza con una disponibilità di 70 milioni di euro, dei quali 15 già investiti per il piano di rilancio delle aziende.

 

Noemi

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