I private equity non perdono fiducia nell’Italia. La ricerca di Deloitte
Che per il 2019 non ci siano grandi aspettative sull’Italia a livello marcoeconomico da parte dei private equity non è un dato sorprendente, la cosa interessante è che per i signori dell’investimento la preoccupazione termina qui, sui macrotrend. Perché la Penisola resta un posto in cui vale la pena investire nonostante l’andamento finanziario globale.
Stando ai dati dell’ultimo Italian Private Equity Confidence Survey di Deloitte, il Confidence Index, elaborato dalla società di revisione per definire la “portata” di questa sfiducia, è ai livelli del 2013 cioè 80, rispetto ai 114 punti dello scorso anno mentre il 60% dei private equity intervistati (il doppio dell’anno precedente) prevede un peggioramento del contesto marcoeconomico. D’altronde, come osserva un veterano del settore, “è molto probabile che il 2019 sarà un anno difficile per l’industria in generale, certamente a livello europeo ma anche a livello più globale. La stessa Germania comincia ad avere seri problemi. Non vedo certo come l’Italia non possa averne di più gravi”.
Tuttavia per chi investe sul territorio, l’Italia sembra essere diventata più resiliente. Quindi meno soggetta agli scossoni provenienti dall’esterno. Lo dimostra il fatto che la metà dei player del settore si aspetti un numero di operazioni pressoché stabile – seppur in calo rispetto all’anno scorso – a 40-45 deal e che molti si aspettano una crescita delle exit tramite vendita sul mercato con Irr attesi tra il 15 e il 25% legati principalmente alle attese positive sull’Ebtida expansion. Anche riguardo alle nuove opportunità d’investimento, la maggior parte degli operatori (59,5%) si aspetta un livello di competizione nel mercato del private equity stabile.

Gestione e fundraising
“Dalla ricerca sono emersi segnali positivi – osserva Elio Milantoni, head of corporate finance di Deloitte – perché nonostante l’andamento macroeconomico ci sarà stabilità del business in Italia”. Questo, aggiunge, “si evidenzia in particolare dal fatto che le aspettative riguardo alle cessioni sono stabili, quindi con valori importanti, e dal fatto che non è emersa alcuna criticità dal punto di vista del funding”.
Nel prossimo semestre, rileva Deloitte, il 62,8% degli intervistati (dal 66,7% nella Survey precedente) ritiene di focalizzare la maggior parte del proprio tempo sulla ricerca di nuovi investimenti. Il tempo dedicato alla raccolta di nuovi fondi diminuisce rispetto al periodo precedente (11,6% rispetto al 16,7%), mentre aumenta quello per l’attività di gestione (da 5,6% a 14,0%). Infine, il focus degli operatori verso l’attività di dismissione degli investimenti rimane pressoché stabile a circa 11%.
“Rispetto alle precedenti edizioni – evidenzia Milantoni – vediamo inoltre un approccio più sofisticato da parte dei fondi, quindi anche più a lungo termine, anche perché la dimensione media delle operazioni attesa è più piccola”. Oggi la maggioranza dei fondi, il 51,3% degli intervistati, dichiara di avere investimenti in portafoglio con un fatturato medio fino a 50 milioni di euro e riguardo alle aspettative sulle dimensioni medie degli investimenti attesi, il 62,8% degli operatori ha aspettative di sostanziale stabilità, mentre il 37,2%, meno del 2017, dei rispondenti si attende un aumento delle dimensioni medie. In linea con questi risultati, le attese degli operatori per il prossimo semestre mostrano in prevalenza (51,1%) un interesse verso i deal con valore fino a 30 milioni. Tuttavia, è atteso un calo degli investimenti tra i 31 e i 100 milioni, che passano dal 44,4% al 39,6%, mentre gli investimenti superiori ai 100 milioni aumentano di 6,5 punti percentuali.
Con riferimento all’attività di fundraising, si segnala che il 45,2% degli operatori intervistati ha in programma di svolgere attività di raccolta di nuovi fondi nel prossimo semestre, in aumento rispetto al semestre precedente (+6,3 punti percentuali).
A livello settoriale, osserva Milantoni, “i private equity guardano anche a comparti meno tradizionali e meno maturi”. Oltre al food & wine (+11,6%) anche alla cosmetica, al Life Sciences & Healthcare (+9,1%) mentre si riduce l’attenzione su settori manifatturiero, packaging e prodotti industriali (rispettivamente -13,7%, -5,6% e -4,6% rispetto al secondo semestre 2018).
Riguardo ai fattori di differenziazione che, a parere degli operatori di private equity, determinano il successo nel completamento delle operazioni, quasi metà degli intervistati (44,2%) ha confermato come elementi principali il prezzo e le condizioni contrattuali offerte alla controparte che seppur in diminuzione rispetto alle opinioni espresse nella precedente edizione (-5,8%) resta il driver principale. Inoltre, crescono il fattore”expertise nella industry” e “velocità e flessibilità” (rispettivamente +9,4 punti e +4,7 punti), a fronte di un calo dei fattori “reputazione” (-7,4%) e “network” (-0,9%).

I dati del secondo semestre 2018
Durante la seconda metà dello scorso anno, Deloitte ha rilevato 75 le operazioni condotte dagli operatori del PE in Italia per un controvalore complessivo (considerando i deal con valori undisclosed) pari a circa 10,6 miliardi. Sia il numero di transazioni, sia il valore complessivo delle stesse si osservano in aumento rispetto al semestre precedente.
Tra le operazioni che hanno generato il maggior deal value nello scorso semestre ci sono senz’altro la cessione da parte di Blackstone della partecipazione in Gianni Versace a Michael Kors, l’acquisizione di RTR Rete Rinnovabile e EF Solare Italia da parte del fondo italiano F2i e quella di Megadyne da parte del fondo Svizzero Partners Group.
Il settore che ha visto gli operatori private equity maggiormente coinvolti nel secondo semestre 2018 è stato quello dei Prodotti e Servizi Industriali, seguito dal Consumer Business e dal Settore Chimico mentre calano le operazioni nei settori manifatturiero, altri servizi e, stranamente, l’alimentare.