Venture capital, l’ascesa esponenziale dell’India
Oltre a Stati Uniti, Regno Unito, Cina o Israele, c’è un altro Paese in cui il venture capital sta crescendo a ritmi sostenuti: l’India.
La regione, con i suoi 1,3 miliardi di abitanti, sta attraendo infatti sempre più risorse da player locali e globali e quest’anno ha registrato una raccolta pari a 2,3 miliardi di dollari (a fine settembre). Nel 2017 era stata di 900 milioni.
L’interesse degli investitori verso il mercato indiano, spiega un report di Bain & Company e Indian Private Equity e Venture Capital Association, è legato soprattutto alle sue enormi potenzialità, sia di crescita delle startup sia di volume della domanda dei consumatori. A questo si aggiungono un track record di exit molto redditizi dei fondi di venture capital e private equity negli ultimi anni e politiche governative che hanno promosso il comparto, assieme con la presenza di talenti tecnologici di alta qualità e di un ecosistema altamente favorevole.
L’India è così oggi il secondo paese dell’area Apac (Asia e Pacifico) più attrattivo in termini di investimenti in venture capital, più di Corea del Sud, Australia e Giappone messi insieme, seppur sempre un gradino sotto alla Cina.
Ma le potenzialità ci sono e si vede dalle startup che stanno fiorendo. C’è ad esempio ByJu’s, una app da 16 milioni di utenti che fornisce occasioni di formazione online e che quest’anno ha raccolto 400 milioni, Portea, provider online per ricevere cure mediche a casa che ha raccolto 26 milioni, Zomato, un servizio di ricerca di ristoranti presente anche in Italia (oltre che in altri 22 Paesi) e la food delivery startup Swiggy, che di recente è entrata nel club degli unicorni raccogliendo 1 miliardi di dollari di capitali freschi.
In particolare, sono i settori come la consumer technology, l’It, il retail e l’healthcare ad attrarre più interesse, con ticket che vanno dai 2-3 milioni di dollari in fase seed, al miliardo passando per i 25 milioni medi per le fasi più avanzate. La tendenza degli investitori è quella di puntare su realtà specifiche e mature e quindi investire di più in poche startup. Non a caso, Bain rileva che a fronte di un aumento dei ticket medi, il numero di round di finanziamento è sceso negli ultimi due o tre anni a 100 dalle 300 in fase seed e a 20-30 dai 30-80 per i round B o C.
Questo articolo è tratto dalla rubrica Follow the Money presente sulla rivista MAG. Scarica qui l’ultimo numero