Venture Capital: le novità in manovra che soddisfano gli operatori – AUDIO

Rilanciare il mercato del venture capital con la manovra di bilancio del governo Conte – approvata lo scorso dicembre –  è diventato un obiettivo anche politico. Nella legge dell’esecutivo gialloverde le novità in materia di rilancio delle startup sono consistenti.

Le novità principali prevedono infatti, fra le altre cose, l’istituzione di un fondo statale da 30 milioni all’anno per il prossimo triennio per gli investimenti nel settore, l’obbligo per i Pir (piani individuali di risparmio) di investire il 3,5% in venture capital, l’obbligo per lo Stato di investire in venture capital il 15% dei dividendi delle società a partecipazione pubblica e detrazioni fiscali del 50% per le aziende che comprano il 100% di una startup senza venderla prima di tre anni.

La manovra, su questi punti, è stata accolta con favore dagli operatori del private equity e venture capital poiché in questo modo lo Stato investe e finanzia, dispone agevolazioni fiscali per privati e aziende che scommettono su startup e Pmi innovative, riconosce la figura del “business angel” – un investitore privato che crede in un progetto e lo finanzia -, insomma un intervento istituzionale mai visto nel settore.

 

Il mercato del venture capital registra volumi sempre maggiori e in Europa, negli ultimi 10 anni è il giro d’affari è quadruplicato: dai 5,5 miliardi del 2008 a 20,5 nel 2018, secondo i dati pubblicati nell’European venture report 2018 di Pitchbook. Scende, negli ultimi quattro anni, il numero delle operazioni, dopo un picco nel 2015 di 5245 deal, si è arrivati l’anno scorso a 3384. «Questo significa banalmente che si fanno operazioni più grandi» spiega il presidente di Aifi – associazione che si occupa private equity, venture capital e private debt – Innocenzo Cipolletta, che, nonostante riconosca il passo avanti del governo in un ambito ancora troppo poco sviluppato in Italia, perché «mancano sia gli investimenti iniziali sia grandi finanziamenti a startup che hanno un progetto già strutturato», ha le idee chiare su cosa ancora dovrebbe essere fatto. In Italia nel primo semestre 2018, rileva Aifi, sono stati investiti 96 milioni di euro in 80 operazioni

Bisogna sottolineare che mancano ancora i decreti attuativi della manovra di bilancio, quindi un giudizio positivo sì ma con cautela. «Sarebbe importante che si costituisse adesso un fondo dei fondi, un fondo indiretto che investa in altri fondi, questo consentirebbe di mobilitare tre o quattro volte il risparmio che viene investito e far nascere nuovi fondi di venture capital e dare ai nuovi Pir che devono investire in questo settore un ventaglio di scelta molto più ampio che consentirebbe anche la nascita di un mercato secondario di venture capital che è la premessa per generare un po’ di liquidità».

Ascolta l’intervista a Innocenzo Cipolletta qui:

Le innovazioni in materia di venture capital contenute nella manovra, nel complesso, rassicurano e soddisfano gli operatori del settore, come il managing partner e fondatore di P101 – società che si occupa di investimenti early stage nel settore digitale – Andrea Di Camillo che, intervistato da Financecommunity ha commentato : «Le norme approvate costituiscono un passo avanti che difficilmente ci si aspettava ma bisogna vedere i decreti attuativi. Al di là del giudizio politico sull’operato di questo governo, su questo aspetto è stato fatto tanto e sono state presentate misure importanti, ma è solo un primo step: bisogna provvedere all’implementazione degli strumenti messi in campo».

Le novità della manovra
Fra questi il primo è il fondo statale che avrà una dotazione di 39 milioni all’anno tra 2019 e 2021, e cinque milioni tra 2022 e 2025. La manovra ha inoltre introdotto la possibilità per lo Stato di sottoscrivere quote o azioni di uno o più fondi dedicati al venture capital.  Le società partecipate saranno poi tenute a versare 15% dei dividendi ai fondi dedicati mentre è previsto il riconoscimento della figura del “business angel”. Questo per quanto riguarda lo Stato. Poi ci sono gli sgravi fiscali: detrazione di Irpef o Ires al 40%  per investimenti in startup, credito d’imposta del 50% sull’Ires per le aziende che comprano il 100% delle startup in fase di “exit” senza cederle entro tre anni, credito d’imposta del 50% anziché del 25% per i progetti di ricerca e sviluppo. Una novità significativa, poi, è destinata ai Pir, piani individuali di risparmio introdotti nel 2017 e destinati alle persone fisiche che vogliono investire nella Pmi: saranno obbligati a versare a fondi per il venture capital almeno il 5% del loro patrimonio di quote o azioni. «Una cosa giusta – secondo Cipolletta – perché a fronte di un vantaggio fiscale (i Pir sono esentasse, ndr) ci dev’essere una ricaduta sull’economia». In sostanza, secondo la previsione del presidente dell’Aifi, «l’ammontare complessivo di risorse che possono andare sul venture capital dopo questi provvedimenti può aggirarsi intorno al miliardo o qualcosa di più, più del doppio di quello che si investe oggi».

 

Noemi

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