Bain Capital compra Fedrigoni con Ubi e Rothschild

Da Fabriano agli Stati Uniti. È il salto delle cartiere Fedrigoni che lo scorso 23 dicembre hanno annunciato un accordo con il private equity d’Oltreoceano Bain Capital in base al quale il fondo, per il quale ha agito il managing director Ivano Sessa (nella foto) ha acquisito la maggioranza del gruppo per 650 milioni di euro, mentre la famiglia manterrà una partecipazione di minoranza.

Nell’operazione l’omonima famiglia venditrice è stata assistita da Bnp Paribas mentre Bain è stato affiancato da Rothschild e Ubi Banca. Quest’ultima, che agisce con un team composto dai principal Daniele Moscato, Diego Napolitano, Laura Milic e Vincenzo De Falco, è anche nel pool di banche finanziatrici, assieme a Bnp Paribas, Kkr e Hsbc, per un financing da 400 milioni di euro di cui una parte, quale revolving credit facility, è destinato al working capital e al capex dell’azienda.

Per Rothschild hanno lavorato Nicola Paini, managing director; Riccardo Rossi, director; Stefano Siccità, associate e Giovanni Chiarugi, Analyst.

Fondato nel 1888 e con sede a Verona, Fedrigoni, proprietario, tra gli altri, dello storico marchio Fabriano, è tra i maggiori operatori internazionali nella produzione e vendita di diversi tipi di carte e in particolare carte ad alto valore aggiunto, supporti speciali, prodotti di sicurezza e prodotti autoadesivi, oltre a essere l’unico produttore italiano di carta per banconote accreditato dalla Banca Centrale Europea per la produzione della carta filigranata dell’euro.

L’azienda, che conta su impianti produttivi in Italia, Spagna e Brasile e oltre 2.700 dipendenti, stima di chiudere il 2017 con un fatturato di circa 1,1 miliardi di euro, dopo aver chiuso il 2016 con 1,054 miliardi di euro, 140,8 milioni di ebitda e 129 milioni di debito finanziario netto.

L’accordo con Bain arriva dopo più di tre anni di trattative con potenziali partner finanziari, soprattutto per questioni di prezzo. L’ultima trattativa fallita è avvenuta nell’autunno 2016 con Edizione Holding e Investindustial, mentre a inizio 2016 erano saltati i tavoli proprio con Edizione Holding, in quel caso in cordata con il fondo sovrano di Singapore Temasek.

Nell’estate 2015, poi, ci aveva provato il fondo Charme mentre nell’autunno 2014, invece, era stata bloccata l’Ipo a Piazza Affari.

Noemi

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