I tre fattori da considerare per investire in venture capital
di nicola barbiero*
Dopo la classica abbuffata di feste natalizie si ritorna pieni di progetti, idee e stimoli da far maturare e mettere in pratica anche per rendere questo blog sempre più partecipato e interessante per tutti i propri lettori. In questo compito oggi ci darà un contributo Stefano Peroncini, chief executive officer di EUREKA! Venture sgr.
L’esigenza di prodotti e servizi sempre più innovativi sta acquistando quotidianamente sempre maggior rilevanza nelle nostre vite sia a livello personale sia su quello professionale. Un’esigenza a cui anche lo stesso legislatore sta ritagliando una certa importanza non da ultimo attraverso il fondo nazionale per l’innovazione. Un veicolo che ha iniziato a strutturarsi, con la nomina dell’amministratore delegato, al termine dello scorso anno e con un messaggio importante per tutto l’ecosistema italiano e, gli investitori istituzionali, non fanno eccezione. Ma quali sono le opportunità ed i rischi per questo tipo di investimento? Innovazione fa rima sempre con start-up? Come valutare un fondo chiuso che si pone l’obiettivo investire in queste asset class? Oggi ci aiuta a dare risposte a queste domande Stefano Peroncini (nella foto), ceo della neo autorizzata EUREKA! Venture SGR.
“Opportunità e rischi vanno sempre di pari passo” – commenta Peroncini – “investire in startup innovative per definizione è un’attività cosiddetta “a rischio”, dove elevatissima è la probabilità di perdere tutto o quasi l’investimento. Per tale motivo è consigliabile, soprattutto per un investitore istituzionale, investire in questa tipologia di “asset” per il tramite di fondi di investimento specializzati, che hanno le competenze per valutare un team e un progetto innovativo. Quindi”, sottolinea il ceo di Eureka!, ”attenzione al profilo di rischio-rendimento dello strumento e soprattutto alla capacità dell’investitore di “tollerare il fallimento”.
È infatti normale negli investimenti in startup che i fallimenti arrivino subito, mentre è necessario qualche anno per far crescere di valore i progetti più promettenti. Innovazione spesso fa rima con startup”, continua Peroncini, ”ma non sempre: ancora una volta bisogna saper distinguere tra una società appena costituita e che che eroga servizi di consulenza a bassa innovazione e le startup cosiddette “deeptech”, ossia quelle che si rivolgono ad ambiti scientifico-tecnologico complessi. Si tratta di iniziative che spesso nascono nell’ambito dei sistemi universitari e di ricerca scientifica, al fine di valorizzare tanti anni di ricerca che possono sfociare in brevetti e in spin-off e startup.
Verso queste tipologie di realtà stiamo osservando un deciso incremento al livello globale degli investimenti da parte dei fondi di venture capital, un fenomeno che secondo una recente indagine della società di consulenza BCG coinvolge quasi 7.000 startup in 69 paesi. La ricerca mostra inoltre una maggior capacità di attrazione dei capitali delle startup deeptech rispetto ad altre “tech”, in tutte le varie categorie: advanced materials, artificial intelligence, biotech, blockchain, droni e robotica, photonica e elettronica, quantum computing. Per valutare un fondo di investimento” – evidenzia Peroncini– “che si propone di restituire un rendimento ai propri investitori è opportuno valutare attentamente tre fattori: in primo luogo il team, che deve essere ben bilanciato in termini di competenze, dotato di track-record (di squadra o anche singolarmente) e che abbia dimostrato la capacità di stare insieme, per esempio durante il processo di startup del gestore e di avvio del fondo. Se ci sono i tre ingredienti citati, possiamo tranquillamente dare fiducia anche ai cosiddetti first-time fund first-time team. In secondo luogo, vision e investment strategy del fondo e del team: anni fa, quando ho cominciato a fare il mestiere di venture capitalist, andavano anche bene i fondi cosiddetti generalisti, ossia che avevano perimetri di investimento ampi in termini di tecnologie e settori di riferimento. Oggi il mercato italiano degli investimenti in capitale di rischio e delle startup è sicuramente più evoluto, sebbene sempre molto piccolo rispetto a quanto succede in Europa per non dire America o Asia; possiamo quindi valutare fondi specifici che indirizzano particolari segmenti di investimento, come il technology transfer che valorizza i risultati delle attività di ricerca scientifica, oppure aree industriali quali la “space economy” o ancora ambiti tecnologici ben specifici come gli advanced materials. Infine, l’ultimo fattore che prenderei in considerazione per valutare di investire in un fondo è l’effettiva capacità del team di intercettare i progetti in cui investire: le relazioni di network dei singoli key-man sono determinanti, insieme ad una rete di alleanze strategiche con dei partner che siabo in grado di supportare un efficace scouting di idee.”
Come sempre, quindi, rischio è sinonimo di opportunità a condizione che ci sia un adeguata conoscenza delle caratteristiche proprie dello strumento e dell’asset class così che l’investitore istituzionale possa calibrare in modo corretto le proprie attese.
*Cfo di un fondo pensione negoziale
Questo articolo fa parte del blog “Serve del catch up”, leggilo qui.